Donne che si dimettono da ruoli importanti: troppe responsabilità o un nuovo modo di gestire il work-life balance? [Di Valentina Parenti, Presidente GammaDonna]
[Di Valentina Parenti, Presidente GammaDonna]
Le dimissioni, negli ultimi mesi, di Prime Ministre e top manager hanno suscitato grande attenzione mediatica e l’alimentarsi di un dibattito che ha messo in evidenza, ancora una volta, quanto profondamente i cliché di genere siano radicati nella nostra cultura. Da più parti le riflessioni e i giudizi circolati hanno avuto a che vedere con valutazioni più o meno esplicite della capacità delle donne di reggere il peso del potere, in politica e nella società in generale.
Non è la prima volta, nel corso della storia, che una donna che ricopre la carica di Primo Ministro si dimette. Tra le dimissioni più famose, sicuramente quelle di Margaret Thatcher, la prima donna a ricoprire il ruolo di primo ministro del Regno Unito, che si dimise nel 1990 dopo undici anni di governo. In India, Indira Gandhi – prima donna a ricoprire la carica nel 1966 – fu costretta a dimettersi a causa delle tensioni politiche e delle proteste di massa, riuscendo a tornare al potere qualche anno dopo. In Israele, Golda Meir – anche lei prima donna a ricoprire la carica di premier nel 1969 – si dimise nel 1974 a causa delle conseguenze politiche della guerra del Kippur.
Queste dimissioni sono state spesso accompagnate da un intenso dibattito sul ruolo femminile in posizioni di potere e sulla effettiva abilità della donna di far fronte a incarichi di responsabilità logoranti, sostenerne il carico e reggere la pressione psicologica ed emotiva che ne deriva. Insomma ciò che si è messo in discussione è la vera e propria natura della leadership femminile: una donna al comando è affidabile? Ce la farà? Quanto durerà ai vertici?
Personalmente – e non potrebbe essere diversamente – sposo un’altra interpretazione del fenomeno.
Una lettura che vede contrapposta a un imprinting patriarcale della politica e della società – fatto di esercizio ostinato e continuo della forza, di presunzione di indispensabilità e di accanimento – una visione nuova, di cui le donne e le giovani generazioni sono portatrici.
Mi riferisco alla capacità – come scriveva Riccardo Luna su Italian.Tech a proposito delle dimissioni della CEO di YouTube Susan Wojcicki – di prendere le distanze dalla seduzione del potere e di non cadere nell’autoreferenzialità e nell’attaccamento spasmodico al ruolo. Il coraggio di prendere atto che quando si sono spese le migliori energie al servizio di una causa e queste si sono esaurite, ci si può fare da parte, lasciando spazio ad altri e a nuove energie.
Ricordando non solo che anche la vita è fatta di stagioni diverse, ma che quella professionale – o politica – è solo una delle tante dimensioni possibili. E, come testimonia l’esperimento britannico sulla settimana corta al lavoro di cui si discute in questi giorni, è forse arrivato il momento di mettere radicalmente in discussione il modo stesso in cui concepiamo l’equilibrio privato-pubblico e la gestione del potere, raddrizzando le storture.
“C’è vita fuori della Silicon Valley e anche fuori dai palazzi del potere politico. – scrive Riccardo Luna – Chi vive accumulando (poltrone, denaro) non è detto che sia più felice di chi vive donando. Quando lo capisci, inizia la parte migliore della tua vita”.
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