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giovedì 09 Febbraio 2023

Pinkwashing: quando il femminismo è solo di facciata

Quante volte abbiamo visto atteggiamenti accondiscendenti nei confronti delle donne, volti a trarre vantaggi per sé piuttosto che a generare opportunità per il mondo femminile? Questo è il Pinkwashing.

Il tema della parità di genere sta spingendo forte da tutte le parti, ma non sempre le azioni o le dichiarazioni in questo senso sono reali e sincere.

Stiamo parlando del fenomeno del Pinkwashing, una pratica che, purtroppo, è più diffusa di quanto si immagini e che vede l’adozione di comportamenti e azioni che lasciano intendere un genuino interesse per la tutela e la promozione dei diritti delle donne, ma che, nella sostanza, sono promosse con il solo fine di accattivarsi l’attenzione e la preferenza del mercato, del pubblico, degli stakeholder.

È il caso, recente, della sponsorizzazione da parte dell’Arabia Saudita dei mondiali di calcio femminile.

Pinkwashing o pura ipocrisia?

Nel luglio 2023 in Australia e Nuova Zelanda si disputeranno i Campionati Mondiali di Calcio Femminile. Uno sport, il calcio, estremamente popolare se declinato al maschile, ma che sta trovando una sua forte identità anche quando in campo ci sono le donne. Atlete che nulla hanno da invidiare ai colleghi uomini, se non il riconoscimento economico della performance sportiva. 

A proporsi per la sponsorizzazione dell’evento, niente di meno che il governo saudita, con il marchio Visit Saudi.

La cosa non è passata inosservata e sono subito scattate le polemiche: come può uno stato dove le donne non possono nemmeno lavorare senza il permesso di un uomo, farsi portavoce di un messaggio forte di emancipazione come quello che porta avanti il calcio femminile? Per di più, oltre ai diritti delle donne, in Arabia Saudita sono calpestati in generale tutti i principali diritti umani.

Pinkwashing tutti i giorni.

Quello dall’Arabia Saudita è evidentemente un caso eclatante, ma casi di Pinkwashing li possiamo vedere tutti i giorni, anche in situazioni molto vicine a noi.  Un “classico” è rappresentato dalla giornata dell’8 marzo, ufficialmente “Giornata internazionale della Donna”, ma spesso banalmente etichettata come “Festa della Donna”. Un giorno in cui si moltiplicano a dismisura le iniziative dedicate alle donne, che spesso sono solo “spot” e per nulla rappresentative di una vera consapevolezza della diversità di genere e delle sue peculiarità.

Cosa ci piacerebbe.

Quello per cui noi di GammaDonna, insieme a molte altre realtà, invece, lavoriamo è un cambiamento profondo che tenga in considerazione anche il punto di vista e il contributo delle donne, e non le veda sempre riflesse attraverso lo specchio dello sguardo maschile. 

Pensiamo sia ora di smettere di raccontare la categoria femminile come una “minoranza” e di offrire una narrazione delle donne in posizioni di leadership come di un’anomalia, di un’eccezione: siamo oltre il 50% della popolazione, abbiamo un background mediamente più solido e qualificato, portiamo in dote competenze trasversali che possono essere determinanti per la qualità dello sviluppo economico. È ora di abbracciare una cultura di genere equa, sostenibile e che valorizzi le diversità come fonte di ricchezza, non di discriminazione.

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